domenica 7 ottobre 2012

Intervista a Barbara X

Intervista con Barbara X
Milano 8 luglio 2012 – Veganch’io
di Annalisa Zabonati

D: Ci racconti la tua esperienza di persona che ha realizzato un percorso transessuale e che ha fatto una scelta vegana e antispecista?

R: La scelta vegana e antispecista prescinde dal mio percorso, anche se -è innegabile- acquista forza proprio in virtù di quest'ultimo. La filosofia antispecista (anche se in embrione quand'ero una “ragazzina incompresa”) mi accompagna da sempre, come la scrittura. La transizione è un’esperienza umana, che però spesso offusca altri aspetti importanti della persona che la compie. Ad esempio, per moltissimi io sono la trans che scrive, non la scrittrice che, fra gli accadimenti della propria vita, ha vissuto anche l’esperienza della transizione. Insomma, la mia condizione si ruba tutta la scena, diventa la lente attraverso la quale giudicare l'intera mia vita. E questo è anche il motivo per cui, ad esempio, molti rimangono spiazzati quando parlo dei miei ideali, e mi chiedono come mai i miei libri non affrontino soltanto tematiche legate al mondo trans.

D: hai ragione a dire che si mette davanti prima la qualifica di trans rispetto a tutto il resto, come se questo diventasse l’eccezione

R: Diciamo il fulcro attorno a cui tutto ruota per giudicare la vita di una persona. Perché questo è un aspetto che obiettivamente porta con sé il torbido e il pruriginoso, e suscita un certo scalpore nelle persone comuni: non c’è niente da fare, era così cinquant'anni fa ed è così anche oggi. E' quel che accade da sempre quando, per un motivo o per l'altro, si va a stuzzicare uno dei tabù più importanti della nostra società, vale a dire quello relativo alla sfera sessuale.

D: quindi indichi la corporeità e la sessualità quali elementi fondanti della manifestazione di sé agli altri.

R: esatto. Comunque il problema è che si è giudicati, e io stessa sono giudicata per il mio percorso di transizione, prima ancora che per altro. In ragione di ciò, negli ultimi tempi sono arrivata a una conclusione: ho deciso di utilizzare il mio percorso di transizione, e comunque la persona che sono, come traino per determinati contesti. Sono schietta, autentica, so che certe persone non si sarebbero mai sognate di chiamarmi se non avessi fatto questo percorso. Chiaramente non è così per tutti: tante splendide realtà, tipo i/le compagne/i catanesi di IbrideVoci e di Catania Antispecista, hanno invitato Barbara X, non una trans. In ogni caso, alla fine, col tempo, credo che le persone arrivino ad apprezzare quello che fai, ma quando non ti si conosce, è così. Sono stata invitata in certi ambiti, senza libri, solo per il mio modo di essere donna, parliamoci chiaro. Che poi io abbia offerto un determinato tipo di immagine, abbia espresso pensieri, abbia elargito concetti diciamo di spessore, questo è un altro paio di maniche, è un qualcosa che salta fuori (a sorpresa) in un secondo momento; chi parla con me non lo immagina nemmeno lontanamente: si aspetta solo e soltanto il solito vissuto “da compatire” del prototipo di trans che tutti si aspettano.

D: e come vivi questo modo di approcciarsi a te?

R: dipende, perché se è vero che in generale è una cosa che può arrecarmi qualche fastidio, è pure vero che lascio liberi di scatenare la loro curiosità coloro che ne hanno.

D: dunque tu la utilizzi?

R: sì, ne fruisco nei limiti entro i quali mi è concesso fruirne, dato che, per fortuna, non ho mai avuto le aspirazioni di una starlette... Non mi accade di frequente, ma lo considero un elemento che va comunque ad arricchire il mio percorso spirituale.

D: perché lo chiami spirituale?
R: per uscire dal ginepraio in cui ci siamo inavvertitamente addentrate... Scherzi a parte, io sono atea; intendo perciò parlare di spirito laico, uno spirito che può essere il soffio vitale della foresta, il battito di un cuore selvaggio o ancora i ritmi naturali che se ne infischiano delle nostre piccole vite: lo “Spirito” di Helvétius, inteso principalmente come “umana facoltà di pensare”, l'ho sempre considerato di secondaria importanza. Prima il cuore, poi il cervello. Sono molto materialista, e ciò potrebbe sembrare una contraddizione con quanto ho appena affermato, ma “spirituale” rimane un termine che mi piace utilizzare, una parola che ha pure a che vedere con il lirismo, con l’idealismo poetico, con l'arte, senza tuttavia dover necessariamente presupporre una qualche presenza metafisica. Potrebbe essere un tratto che ho mutuato dalla protagonista di uno dei miei libri, Jeanne Etoile de Combat: lo spirito dell’anima, un'anima laica, un'anima che si fa istinto, e poi ancora gli occhi della natura che scrutano dolenti il mondo umano fra la vegetazione di una foresta tropicale: anima, sangue, passione, amore. Insomma, tanti sinonimi e significati, un po’ come il logos di Eraclito.

D: e questo ti conduce al tuo modo di essere antispecista.

R: io sono un'antispecista esattamente come tutti coloro che condividono questo mio ideale, ma per il mio modo di essere donna credo di trovarmi socialmente molto vicina alla condizione degli animali che vengono sfruttati, massacrati orribilmente, solo per un capriccio alimentare: come sappiamo, chi ancora mangia carne e derivati animali assume una posizione speculare a quella della chiesa ai tempi di Galileo, una visione antropocentrica che assoggetta con la violenza tutti gli animali non umani del pianeta, ai quali viene riservata la stessa quantità di incomprensione e disprezzo che solitamente viene riservata a noi, persone che abbiamo fatto o facciamo il percorso di transizione. Come il geocentrismo secoli fa, anche l'antropocentrismo legittima la propria supremazia facendo leva sul falso, su una truffa colossale. Sovente, la società umana, il cosiddetto consorzio civile, mi ha trattato da essere inferiore: lo dico quasi con una punta di fierezza, perché ciò in fin dei conti mi accomuna a tante vite pure. Ma guai a parlare di “esseri inferiori” all'uomo comune, normale, che ipocritamente si scandalizza quando gli si fa notare questo tipo di cose, cioè l’inferiorità di altri individui; ma la verità, purtroppo, è che siamo tutti uguali solo a parole, c’è perlopiù una solidarietà di facciata; Adorno sosteneva che l’uguaglianza è solo formale, sempre e ovunque, e da tale stato di cose non si esce perché, in un modo o nell'altro, il soggetto deviante è necessario. Esso è funzionale al sistema, è il parafulmine, il capro espiatorio contro cui le persone cosiddette normali, e sottolineo normali, hanno modo di sfogarsi per affermare la propria normalità.

D: tu non ti ritieni una deviante, ma pensi che il sistema ti definisca tale.

R: sì, io non mi riterrei una deviante, usiamo questo condizionale, però ad un certo punto, quando mi ritrovo a fare i conti con me stessa e a rapportarmi col mondo esterno, io per prima debbo ammettere, senza neanche tanto rammarico, di essere un soggetto deviante. E' pure vero che tante volte utilizzo questa etichetta che mi affibbia il sistema per ricavarne anche forza, se vogliamo. E' come se mi dicessi: “Mi vedono così? e sia: ora avranno da me le risposte che si meritano.”

D: in uno degli incontri che abbiamo avuto recentemente hai detto una cosa che mi ha colpita; hai affermato che al termine della tua transizione ti sei ritrovata nella posizione del sesso più oppresso, da posizione sociale dominante, come maschio (o presunto tale), ti sei ritrovata dall’altra parte.

R: eh già, dalla parte del... “secondo sesso”, come lo definì la nostra cara amica Simone De Beauvoir. E' risaputo (almeno lo spero...) che, volendo transizionare, sono due le direzioni che si possono prendere: c’è la donna che transita verso il maschile (quindi il trans), e c’è chi fa il percorso opposto, chi dal maschile transita verso il femminile (cioè la trans), e questo implica tutta una serie di interventi diametralmente opposti, a partire dalle terapie ormonali. Detto questo, io mi sono accorta negli anni di quanto i trans, cioè le persone che compiono il percorso opposto al mio, venissero tollerati un po' di più rispetto a noi. Prima di tutto li si nota di meno, e questo gioca un ruolo assai importante, dato che la donna trans (la m-t-f) patisce una sovraesposizione ben maggiore. In secondo luogo bisogna anche considerare il fatto che il trans, proprio in virtù della propria aspirazione al maschile, sembra attiri minor ostilità verso di sé; per l'opprimente ottusità della società patriarcale, fallocentrica e androcentrica, è come se ambisse a una posizione più elevata nella graduatoria sociale. Chiaramente, loro, i trans, non pensano a queste dinamiche, e affrontano il percorso di transizione soltanto per perseguire ciò che reputano sia giusto per il loro benessere, che è poi quello che facciamo noi m-t-f. Tuttavia ne consegue che una società fallocentrica, come iniziarono a definirla le Redstockings nei primi anni ’70, non può che vedere in modo estremamente negativo chi da “uomo” aspira a diventare donna, quindi a raggiungere una posizione sociale generalmente considerata “inferiore”. Io sono dunque scesa di un gradino nella scala sociale di questo sistema umano, umanizzato e fallocentrico: e allora molta gente si chiede a bassa voce se io sia pazza, senza però tenere in minimo conto la gioia e la fierezza che mi derivano dall'appartenere al genere femminile.

D: È importante che una trans, un’ex trans nel tuo caso, abbia consapevolezza di questo, perché quando ho avuto occasione di parlare con delle trans questa consapevolezza era assente e negata, assumendo atteggiamenti di un femminile asservito al sistema patriarcale. Per questo il tuo è un percorso singolare.

R: la donna-oggetto, che esprime quel servilismo cui vuole assoggettarci il patriarcato, obbedisce ciecamente a moduli estetici precostituiti, servendosi di atteggiamenti stereotipati. Mancano troppo spesso la fantasia, la ribellione, la coscienza di sé (tutti elementi che si possono coltivare amando i pensieri di esseri umani come Hugo, Dostoevskij, Cervantes, Dante e molti/e altri/e, - non certo piazzandosi davanti alla TV e guardando programmi che non voglio nemmeno nominare [Per inciso, io non ho una TV dal 1994]). Questo modello schiavizza la donna e la rende mero oggetto di riproduzione, cioè un oggetto che serve per soddisfare il piacere maschile, e di fatto rende le donne simili a tanti altri esseri considerati inferiori (e qui ritorna il parallelo con gli animali non umani, utili solo a determinati scopi, secondo la delirante logica del profitto e del dominio, che mira sistematicamente a reificare e mercificare): sei nel tuo ruolo solo se ti comporti come ti hanno detto che devi comportarti. Esattamente come l’animale da reddito, il cui ruolo è quello di subire ciò che il sistema nazicapitalista ha stabilito che debba subire. Purtroppo, noi viviamo in un pianeta la cui forma di governo è la dittatura di un tiranno che risponde al nome di Genere Umano: all'interno di tale raggruppamento vi sono altre gerarchie (prima l'uomo bianco e ricco, poi la donna, e via di questo passo, fino ad arrivare ai gradini più bassi dell'umana scala sociale), ma tutti gli umani -chi più, chi meno- concorrono allo sfruttamento delle risorse del pianeta e delle altre specie viventi, partecipi come sono di un sistema contaminato alle radici e corrotto dal calcolo, dal raziocinio, dalle leggi, dai divieti, dal profitto. Personalmente, ho sempre rifiutato le aberranti imposizioni e le regole di quest'orribile Stato Di Cose; non ho mai voluto chinare il capo, cedendo alla rassegnazione: anzi, esprimo le mie idee e, in piazza o davanti a un foglio, combatto per i miei ideali. Tutto questo anima il mio essere da tanto tempo e ne costituisce la principale ricchezza. Chiunque dovrebbe inorridire dinanzi a questo sistema, e certe donne (che siano trans, ex trans o genetiche) altro non fanno che portare acqua al mulino del sistema di dominio.

D: come vivi il tuo femminismo?

R: sento che l’universo femminile, nella sua totalità, lo dico poeticamente e senza fare tanti distinguo, mi ha accolta a braccia aperte; sono veramente contenta di questo. Il mondo delle donne mi emoziona anche per certa solidarietà e complicità, e questo mi fortifica quando cerco di battermi per le dinamiche che riguardano il mio genere. Io già provengo da un bel laboratorio di lotta, quello del percorso di transizione, e so cosa vuol dire essere discriminati, considerati persone inferiori, e sulla base del mio vissuto io realizzo i miei progetti di lotta, con la mia forza, le mie emozioni, il mio impegno. Ecco con quale impeto nasce la mia pulsione femminista.

D: non sempre c’è adesione al pensiero femminista, perché a volte è travisato come un pensiero estremista, e anche lo è, ma soprattutto perché ha una visione del mondo che prevede lo smantellamento di un certo sistema, quello a cui tutt* siamo sottomess*, nessun* esclus*. In questo tuo triplo percorso di dominata, come trans, come donna e come animale, ti ritrovi a riflettere e a confrontarti in un ambiente, quello animalista antispecista vegano, in cui le cose non sono così scontate e lineari come potrebbero sembrare.

R: questo è vero, essere antispecisti (o antifascisti, antirazzisti, ecc.) non conduce automaticamente ad essere dalla parte del cosiddetto diverso, ad essere contro omofobia e transfobia. Purtroppo le persone danno per acquisito questo dato, forti come sono di un ideale al quale autenticamente aderiscono, e così l'incomprensione è sempre dietro l'angolo. Anche agli antispecisti sfuggono determinate dinamiche, ed è su queste che bisognerebbe lavorare, senza innalzare muri e chiudere porte. La realtà molto spesso è che cert* compagn* sono solidali solo nei confronti della loro idea di persona trans (l'infelice da compatire): quando quest'ultima si palesa per ciò che è (cioè una persona) e prende iniziative, manifestando le proprie passioni e indole, scatta la diffidenza, che -come nel mio caso con alcuni antispecisti bresciani e milanesi- può spingersi fino all'emarginazione (quando mi capita di chiedere spiegazioni in merito, ricevo in cambio solo l'ottusità di uno sguardo bieco: di fatto ancora “non so” per quale motivo io sia stata allontanata da certi ambiti). Sono una donna ex trans, ho cioè terminato il mio percorso di transizione e sono approdata al genere e al sesso cui aspiravo, ma purtroppo vedo che si continua a far confusione su questa come su altre cose, secondo me anche volutamente: in generale, non so quanto inconsapevolmente, si vuole mantenere l’idea della devianza, della diversità, perché -come dicevo poc'anzi- funzionale a questa società, al suo desiderio di salvaguardare un certo habitus mentale che permetta di continuare a discriminare il diverso. I/le trans, i gay, le lesbiche in questa società sono nella maggior parte dei casi considerat* in modo sbagliato. E siccome il movimento antispecista fa parte della società umana (noi antispecisti siamo esseri umani, fino a prova contraria), ci sta che vi sia chi, pur aderendo a questo ideale, si ritrovi a fare i conti proprio con quell'ignoranza e quel disagio comuni a moltissime altre persone, chiamate a comprendere per davvero (e con una certa urgenza) i percorsi di transizione e gli orientamenti sessuali.

D: secondo te come mai?

R: è una questione che non pertiene alla sfera razionale. Ma ci sono tanti soggetti che comunque si affidano alla sfera razionale e conducono il loro ragionamento nel modo sbagliato, in malafede. Ma nella maggior parte dei casi all’inizio non c’è malafede; c’è piuttosto una pulsione, un retaggio che ti è stato inculcato, diciamo così, dalla società patriarcale, secondo cui vi sono determinate scelte di vita che, a differenza di altre, vengono considerate sconvenienti, riprovevoli. E tu, anche se nella teoria dell'ideale che ti appartiene ti dichiari la persona più aperta del mondo, ti fai influenzare da quel retaggio e rischi così di scivolare dinanzi al contatto reale, all’atto pratico. In virtù di queste sovrastrutture, di queste distorsioni a livello inconscio, ti ritrovi a comportarti nel modo sbagliato, magari proprio in quel modo che fino al giorno prima avevi criticato nella persona di idee politiche diametralmente opposte alle tue. Questi sono i paradossi dell'ignoranza.

D: si può e si deve superare questo, e secondo te come?

R: sicuramente si può, senza ricorrere a mezzi estremi, come ad esempio compiere il mio percorso... Scherzi a parte, a volte sembrerebbe che senza esperienza diretta non si riesca a capire, “le parole richiedono esperienze condivise,” diceva Borges. Ma si può capire servendosi del cuore. Ne parlo sempre e ovunque: il cuore. Il cuore, in questo come in altri casi, deve alimentare e illuminare la mente con la luce della coscienza e del buon senso, cioè con l’amore (vedi? sono una donna romantica: anche questo è un cliché...). Si tratta dell’amore vero e puro, o di un sentimento che gli si avvicini, tipo l'empatia, la solidarietà: ecco da dove hanno origine la condivisione e la consapevolezza di essere parte di un tutto che devi accettare e comprendere in ogni sua singola sfaccettatura. Il pregiudizio si può dunque superare, basterebbe, e mi autocito, dare un calcio ai tabù. Sembra facile, e in realtà non lo è, ma concedendo più spazio al sentire, al sentimento, senza farsi influenzare dalle voci della razionalità, che provengono dall’esperienza spesso complice del retaggio, bisogna provare a interrogarsi sulla veridicità delle cose sentite, metterle in discussione e sforzarsi di capire le transizioni, gli orientamenti, e così via. Transizione e orientamento sono cose completamente diverse, ma pochi lo sanno, anche fra i/le compagn*: la prima riguarda il genere e l’altra l’affettività, l'una ciò che si è e l’altra ciò che piace. Ho portato l'esempio di un dato basilare quanto semplicissimo da acquisire, perché so che spesso ci si va ad impantanare su ciò che è elementare; la gente preferisce lambiccarsi sulle complessità, cerca di sviscerarne indizi e aspetti, ma sulle cose semplici inciampa, e questo capita pure agli/alle antispecist*. Un discorso a parte va fatto poi per tutta quella gente che vuole continuare ad alimentare la confusione intorno alla condizione trans: gente che vuole rimanere ignorante in materia per continuare a farci del male, lasciandoci nel vago, nell'indefinibile. Si vogliono mantenere determinate posizioni anche perché si è consapevoli del fatto che, sapendone di più su certe cose, la società machista e fallocentrica potrebbe poi giudicarti in un certo modo, soprattutto se sei maschio. Nessun uomo esce a passeggiare con una donna come me, nessun uomo dimostra di essere per davvero ciò che sostiene nella teoria, cioè una persona libera da ogni pregiudizio. Penso per esempio a quando incontro per strada un conoscente o amico (maschio, lo sottolineo), e questi accelera il passo pur di non far vedere che si trova in mia compagnia; c'è una schiavitù, un condizionamento, che gli sussurra: “Se ti fai vedere da solo in compagnia di questa persona [cioè con me], gli altri potrebbero pensare molto male di te, quindi stai attento” e allora a lui viene la famosa sindrome del cacasotto e cerca di lasciarmi indietro. Naturalmente, le donne sono molto meno soggette a questa sindrome, esse non corrono il rischio di sentirsi affibbiare l'epiteto di “ricchione”. In definitiva l’uomo ha molto più da perdere, e noi trans male-to-female veniamo discriminate anche perché costituiamo un attacco al totem del fallo, venerato in questa società esattamente come nelle tribù antiche, non c’è niente da fare, è la stessa cosa; è questo totem che impera, è una divinità, e il nostro percorso di transizione sembra uno sberleffo nei suoi confronti, anche se ovviamente non lo si porta a compimento per tali ragioni.

D: il tuo pensiero e la tua azione politiche come donna antifascista, come antispecista, come antirazzista, come donna che ha sperimentato un percorso di transizione, come femminista, ha una serie di intrecci.

R: questo è molto bello e importante! Contaminazioni: ciascuna delle battaglie che hai menzionato riceve forza e linfa dalle altre, perché, come sempre amo dire, è tutto collegato, è tutto collegato, è tutto collegato...

D: come dice patrice jones, connessioni connessioni connessioni, noi non dobbiamo solo fare ponti, ma dobbiamo essere i ponti. Però, come tu ben sai, sembra sempre che le lotte, per quanto dichiarate affini, non riescano mai a confluire in un percorso comune. Se l’antispecismo, come mi auguro e presumo, penso sia la punta avanzata di tutte le lotte contro il dominio, come possiamo noi come donne e come femministe dare il nostro contributo per essere queste connessioni, fare questa opera di connessione, dato che il femminismo ha mille sfaccettature?

R: penso che sia molto semplice: chi non vuole mettere in atto un progetto di impegno ad ampio raggio, rimane per forza di cose una persona limitata politicamente oltreché pigra. La vera ricchezza è creare le connessioni fra le battaglie per i diritti, e chi non lo fa o non vuole farlo è una persona sicuramente povera, perché meno ti impegni più sei pover*. Sartre affermava: “L’uomo è inutile, cessa di essere tale solo quando si impegna.” Ma tra il disimpegno e l’impegno vi sono diversi gradi, diverse sfumature: ci si può fermare subito, oppure si può arrivare a sfiorare un alto grado di purezza interiore, abbracciando più cause. Più ti batti, più impegni il tuo cuore prima ancora che il tuo cervello, e più ti accorgi che puoi raggiungere un elevato grado di purezza, che è poi conoscenza, non certo intesa come arido nozionismo. Si va insomma a far l’amore con la propria coscienza, più battaglie condividi e colleghi fra loro, più ami la tua coscienza. Questa è sicuramente la via da seguire nel futuro immediato, vincendo le resistenze di chi accampa scuse su scuse, dicendo per esempio: “Io mi occupo della tal battaglia, ma non mi riesce di occuparmi di antispecismo, guarda lo farei volentieri, ma già mi impegno per altro.” Una grossolana stupidaggine: basta modificare le proprie abitudini alimentari e già ci si occupa di animalismo: la pratica antispecista inizia smettendo di mangiare i pezzi dei cadaveri degli animali sfruttati e massacrati nei macelli da questo sistema nazicapitalista, la rivoluzione antispecista inizia in cucina. Da tale spinta politica alimentata dall'etica e dall'empatia, hanno origine la determinazione e l'energia che trasformano in un blocco granitico le tue convinzioni, la voglia di partecipare e di batterti che ti connota come militante.

D: sintetizzando, la tua è una visione politica contro il dominio.

R: certo, il dominio universalmente concepito, prima di tutto umano e umanizzato di questo sistema infernale che costringe a gabbie, a sovrastrutture un’infinità di esseri ingiustamente considerati inferiori. “Non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te,” diceva qualcuno... E' l'etica della reciprocità, no? Ma non vi può essere etica se chi è sfruttato, a sua volta sfrutta. I paradossi legati a quest'assioma sono un'infinità: pensiamo a chi si batte per l'ambiente e si nutre di carne, quando gli allevamenti intensivi sono una delle fonti primarie di inquinamento; pensiamo ai migranti che lottano per i propri sacrosanti diritti e si autofinanziano con cene a base di carne; pensiamo a chi lotta contro la fame nel mondo e poi, con la sua dieta piena di bistecche e prosciutti, contribuisce ad affamare intere popolazioni allo stremo, che vedono cereali e vegetali finire in bocca a dei condannati a morte (gli animali) che, al momento della macellazione, rendono 1/5 di quanto hanno consumato nella loro orribile vita in allevamento. L'essere umano in questo pianeta si sta comportando come un nazista: ha ridotto in schiavitù chi considera inferiore a sé, e in molti casi non se ne rende neanche conto, tanto è “piegato al rigido volere d'abitudine”, come dice Sara, una cara amica mia. Prima di tutto occorre dunque combattere le assurdità dei condizionamenti culturali. Il punto focale è questo. Cioè considerare attentamente e con gli occhi della coscienza le fondamenta sulle quali Horkheimer erigeva l’edificio sociale: l'indescrivibile sofferenza degli animali.

D: quindi secondo te, tutti e tutte siamo chiamat* a questo compito, ognun* per come riesce, senza però escludere delle parti che a priori potremmo ritenere non pertinenti alla nostra visione del mondo, perché ne risulterebbe inquinato il proprio discorso politico e di attivismo, e produrrebbe un finto impegno.

R: noi siamo chiamate/i ad impegnarci, ognuno per come riesce, ma senza escludere temi e argomenti ingiustamente reputati di secondaria importanza da abitudini di comodo, altrimenti è appunto un finto impegno che non può che produrre lassismo e conquiste labili o di poco conto.

D: qual è la tua idea di queer?

R: mi viene da sorridere, perché, da sempre, più cerco di essere normale e più sono queer, ce l’ho proprio nel sangue, talvolta ho come la vaga sensazione di essere una persona che esce sempre e comunque dagli schemi. E pensare che ho sempre sognato di fare la casalinga e di lavorare in fabbrica... Più mi impegno ad essere una massaia perbene e più il mio istinto mi porta ad abbracciare un certo modo di vedere la vita: Queer è la militanza, Queer è la diversità interiore, quella diversità che conduce ad elaborare i propri pensieri politici in una certa maniera, indirizzandoli verso l'azione e l'impegno. Sempre qui vado a parare, e ciò mi rende felice, perché vuol dire che è un automatico moto istintivo che viene dal cuore.

D: cos’è per te la scrittura ed essere scrittrice?

R: per me la scrittura è principalmente un atto d'amore. E' l'attività che svolgo praticamente da una vita, dai tempi in cui non avevo la possibilità di farmi leggere da nessuno. Da poco più di un anno sono riuscita a mettere a frutto la mia passione di una vita e ho realizzato gli Aghenstbucs (http://queerveggiepride.blogspot.it/2012/06/barbara-x-e-i-suoi-aghenstbucs.html), facendo quasi tutto da sola: gli Aghenstbucs sono i miei libri, quattro autoproduzioni letterarie grazie alle quali diffondo i miei pensieri per strada, nei locali, alle feste. La spada di Don Chisciotte e la penna di Pasolini: due strumenti che ho sempre posto sullo stesso piano. Così come la scrittura e la lettura, che sono in correlazione dialettica. Non riesco a concepire la scrittura diversamente dal tenere sempre in considerazione l’impegno, la lotta per i diritti. Io scrivo perché ho la necessità di comunicare pensieri ed esperienze, miei o altrui; scrivo per trasformare in azione i moti del mio animo, ciò per cui mi batto tutti i giorni. Per tale ragione la mia scrittura ha una valenza altamente contenutistica, un contenuto che si fa messaggio politico. Con questo non voglio e non posso dire che non mi curo dell’aspetto formale, ma la mia tecnica (pur affinata nel corso degli anni tramite studi ed esercitazioni varie) ovviamente non mi consente di far sì che esso stesso divenga contenuto: questa magia, del resto, è riuscita a Boccaccio, Manzoni e pochissimi altri. Su un altro piano, l'esercizio della scrittura è per me un'affermazione della mia individualità, quasi un riscatto sociale al cospetto di una società in cui regna comunque la scarsità di considerazione nei confronti della persona trans (“E' trans, però è brava”, “E' trans, però è intelligente”). Personalmente, tale scarsità di considerazione mi ferisce non poco: essa ha origine dal mio modo di essere donna il quale, nella mente della gente comune, trasfigura il prototipo di scrittore o scrittrice che di solito si tende a contemplare. Ciò nonostante cerco da sempre, da quand’ero una “ragazzina incompresa”, di scrivere nel modo più serio che posso, cioè di dedicarmi ad un testo fino a godermelo, lavorandoci sopra con zelo e passione, affinché la forma sia al servizio del contenuto. I miei punti di riferimento (nomi e opere) sono principalmente nella letteratura classica, pure, come spesso amo ripetere, la cultura non è arido nozionismo, bensì coscienza: bisognerebbe sempre utilizzare la conoscenza per amare se stessi e gli altri, perché la cultura è condivisione, esperienze comuni, solidarietà.

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